Podchaser Logo
Home
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese – Parte Settima

Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese – Parte Settima

Released Thursday, 13th May 2021
Good episode? Give it some love!
Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese – Parte Settima

Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese – Parte Settima

Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese – Parte Settima

Dante, selezione dalla Commedia a cura di Carlo Colognese – Parte Settima

Thursday, 13th May 2021
Good episode? Give it some love!
Rate Episode

Dante e Virgilio proseguendo nel loro cammino giungono nel secondo girone del settimo Cerchio e si addentrano nella selva dei suicidi. E' quello territorio delle arpie, mostruose creature con viso di donna e corpo d'uccello con il compito di tormentare i dannati, tramutati in alberi per aver usurpato, togliendosi la vita, la prerogativa divina. Personaggio centrale del Canto è Pier delle Vigne.

Introduzione e voce di Carlo Colognese.

Illustrazione di Gustavo Doré.

CANTO TREDICESIMO

Non era ancor di là Nesso arrivato,quando noi ci mettemmo per un boscoche da neun sentiero era segnato.

Non fronda verde, ma di color fosco;non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco:tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,che cacciar de le Strofade i Troianicon tristo annunzio di futuro danno.

Ali hanno late, e colli e visi umani,piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;fanno lamenti in su li alberi strani.

E ’l buon maestro «Prima che più entre,sappi che se’ nel secondo girone»,mi cominciò a dire, «e sarai mentre

che tu verrai ne l’orribil sabbione.Però riguarda ben; sì vederaicose che torrien fede al mio sermone».

Io sentia d’ogne parte trarre guai,e non vedea persona che ’l facesse;per ch’io tutto smarrito m’arrestai.

Cred’io ch’ei credette ch’io credesseche tante voci uscisser, tra quei bronchida gente che per noi si nascondesse.

Però disse ’l maestro: «Se tu tronchiqualche fraschetta d’una d’este piante,li pensier c’hai si faran tutti monchi».

Allor porsi la mano un poco avante,e colsi un ramicel da un gran pruno;e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».

Da che fatto fu poi di sangue bruno,ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?non hai tu spirto di pietade alcuno?

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:ben dovrebb’esser la tua man più pia,se state fossimo anime di serpi».

Come d’un stizzo verde ch’arso siada l’un de’capi, che da l’altro gemee cigola per vento che va via,

sì de la scheggia rotta usciva insiemeparole e sangue; ond’io lasciai la cimacadere, e stetti come l’uom che teme.

«S’elli avesse potuto creder prima»,rispuose ’l savio mio, «anima lesa,ciò c’ha veduto pur con la mia rima,

non averebbe in te la man distesa;ma la cosa incredibile mi feceindurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.

Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n veced’alcun’ammenda tua fama rinfreschinel mondo sù, dove tornar li lece».

E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,ch’i’ non posso tacere; e voi non graviperch’io un poco a ragionar m’inveschi.

Io son colui che tenni ambo le chiavidel cor di Federigo, e che le volsi,serrando e diserrando, sì soavi,

che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:fede portai al glorioso offizio,tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.

La meretrice che mai da l’ospiziodi Cesare non torse li occhi putti,morte comune e de le corti vizio,

infiammò contra me li animi tutti;e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.

L’animo mio, per disdegnoso gusto,credendo col morir fuggir disdegno,ingiusto fece me contra me giusto.

Per le nove radici d’esto legnovi giuro che già mai non ruppi fedeal mio segnor, che fu d’onor sì degno.

E se di voi alcun nel mondo riede,conforti la memoria mia, che giaceancor del colpo che ’nvidia le diede».

Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,disse ’l poeta a me, «non perder l’ora;ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».

Ond’ io a lui: «Domandal tu ancoradi quel che credi ch’a me satisfaccia;ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora».

Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccialiberamente ciò che ’l tuo dir priega,spirito incarcerato, ancor ti piaccia

di dirne come l’anima si legain questi nocchi; e dinne, se tu puoi,s’alcuna mai di tai membra si spiega».

Allor soffiò il tronco forte, e poisi convertì quel vento in cotal voce:«Brievemente sarà risposto a voi.

Quando si parte l’anima ferocedal corpo ond’ella stessa s’è disvelta,Minòs la manda a la settima foce.

Cade in la selva, e non l’è parte scelta;ma là dove fortuna la balestra,quivi germoglia come gran di spelta.

Surge in vermena e in pianta silvestra:l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,fanno dolore, e al dolor fenestra.

Come l’altre verrem per nostre spoglie,ma non però ch’alcuna sen rivesta,ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.

Qui le trascineremo, e per la mestaselva saranno i nostri corpi appesi,ciascuno al prun de l’ombra sua molesta».

Noi eravamo ancora al tronco attesi,credendo ch’altro ne volesse dire,quando noi fummo d’un romor sorpresi,

similemente a colui che veniresente ’l porco e la caccia a la sua posta,ch’ode le bestie, e le frasche stormire.

Ed ecco due da la sinistra costa,nudi e graffiati, fuggendo sì forte,che de la selva rompieno ogni rosta.

Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».E l’altro, cui pareva tardar troppo,gridava: «Lano, sì non furo accorte

le gambe tue a le giostre dal Toppo!».E poi che forse li fallia la lena,di sé e d’un cespuglio fece un groppo.

Di rietro a loro era la selva pienadi nere cagne, bramose e correnticome veltri ch’uscisser di catena.

In quel che s’appiattò miser li denti,e quel dilaceraro a brano a brano;poi sen portar quelle membra dolenti.

Presemi allor la mia scorta per mano,e menommi al cespuglio che piangea,per le rotture sanguinenti in vano.

«O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea,che t’è giovato di me fare schermo?che colpa ho io de la tua vita rea?».

Quando ’l maestro fu sovr’esso fermo,disse «Chi fosti, che per tante puntesoffi con sangue doloroso sermo?».

Ed elli a noi: «O anime che giuntesiete a veder lo strazio disonestoc’ha le mie fronde sì da me disgiunte,

raccoglietele al piè del tristo cesto.I’ fui de la città che nel Batistamutò il primo padrone; ond’ei per questo

sempre con l’arte sua la farà trista;e se non fosse che ’n sul passo d’Arnorimane ancor di lui alcuna vista,

que’ cittadin che poi la rifondarnosovra ’l cener che d’Attila rimase,avrebber fatto lavorare indarno.

Io fei gibetto a me de le mie case».

Episodi precedenti:Parte SestaParte QuintaParte QuartaParte TerzaParte SecondaParte Prima

Show More
Rate

Join Podchaser to...

  • Rate podcasts and episodes
  • Follow podcasts and creators
  • Create podcast and episode lists
  • & much more

Episode Tags

Do you host or manage this podcast?
Claim and edit this page to your liking.
,

Unlock more with Podchaser Pro

  • Audience Insights
  • Contact Information
  • Demographics
  • Charts
  • Sponsor History
  • and More!
Pro Features