Piangere sul finale straziante di un “filmone” hollywodiano, rispondere al sorriso di un bambino, provare tristezza davanti per il nostro amico affranto dalla morte di un suo caro… sono tutti esempi di EMPATIA.
“Sentire dentro” questo è letteralmente il significato della parola… insomma mettersi nei panni degli altri. Negli studi in psicologia è definita come un’esperienza di condivisione e comprensione dell’esperienza altrui, sia a livello emotivo che cognitivo, e in genere presuppone un riconoscimento che l’emozione che stiamo provando non è la nostra ma dell’altro. Per gli scienziati è una facoltà cruciale, che sta alla base della socialità, è infatti quasi universalmente riconosciuta come “prosociale”, ovvero facilitatrice della coesione del gruppo, della comunicazione e in generale dell’attaccamento fra individui (non solo fra esseri umani, sia ben chiaro).
E se ci fosse un lato egoista, e perfettamente sensato, dell’empatia? In un lavoro recente, Valeria Gazzola e Christian Keysers (Istituto di Neuroscienze dei Paesi BAssi, Amsterdam), due dei massimi esperti nello studio dell’empatia in una prospettiva comparata (negli altri animali, insomma) hanno suggerito che vi sia una componente egoistica: il risuonare dell’emozione della paura fra individui, nei topi, li rende più rapidi ed efficienti a reagire ai pericoli, e quindi a salvare la propria vita. Gazzola e Keysers ne parlano ai microfoni di #connessionipodcast.
Podchaser is the ultimate destination for podcast data, search, and discovery. Learn More