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Quante volte ci capita di sentirci stanchi, in ansia e provare la sensazione da un lato
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di aver perso tempo e dall'altro di avere mille cose in sospeso da fare?
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Eppure noi ci impegniamo tanto, portiamo a termine sempre tante attività e ci prodighiamo
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anche per gli altri, com'è possibile nonostante tutto ciò che ci sentiamo così?
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Oggi parliamo di alcuni fattori della vita quotidiana che contribuiscono a farci essere
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meno produttivi e più stressati, di come mitigarne gli effetti e addirittura di come
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sfruttarne i meccanismi al nostro vantaggio.
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Sigla. Benvenuti su Pensieri in Codice, il podcast dove si ragiona da informatici, con Valerio
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Galano.
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Oggi come oggi le continue interruzioni al flusso dei nostri pensieri sono la pura normalità.
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Personalmente non credo di conoscere nessuno che possa legittimamente affermare di esserne
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totalmente esente. Il nostro stile di vita e tutta la tecnologia di cui disponiamo ci hanno avvicinati fra
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noi, hanno reso le comunicazioni più veloci ed efficienti, l'accesso alle informazioni
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più immediato, ma hanno anche moltiplicato enormemente le possibilità di ciascuno di
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essere raggiunto praticamente in ogni luogo e in ogni momento del giorno e della notte.
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I nostri smartphone ci tempestano in continuazione di notifiche, messaggi, email, social network,
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applicazioni varie. E poi riceviamo chiamate al telefono o richieste a voce, domande e sollicitazioni varie da
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parte delle persone che ci stanno intorno, a casa i familiari, al lavoro i colleghi e
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così via. Questa condizione è diventata ormai così normale e accettata che molti non si fanno
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più problemi nemmeno a scrivere o a chiamare durante l'orario della pausa pranzo, della
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cena o a tardasera e nei giorni festivi.
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Per ora possiamo definirci fortunati se almeno le ore notturne vengono ancora rispettate,
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per ora. Il punto però è che se non facciamo qualcosa per ovviare a questo problema, possiamo potenzialmente
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essere continuamente interrotti in quello che stiamo facendo, mentre lavoriamo, in vacanza,
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quando siamo per strada, a tavola, davanti alla tv, leggendo un libro, praticamente sempre.
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Con il tempo ci siamo abituati a questo status quo e ci prodighiamo ogni giorno per farvi
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di fronte alla meglio, spostando continuamente la nostra attenzione tra l'attività che
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stiamo svolgendo, per dovere o per piacere, e l'interruzione di turno, sia essa digitale
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o analogica. Questo tipo di impostazione del proprio lavoro o di gestione del proprio tempo in generale
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viene comunemente chiamato multitasking, questo nome è mutuato dall'attività tipica dei
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sistemi informatici di eseguire più compiti per volta, spostando continuamente la potenza
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di calcolo tra di essi in maniera ciclica, e dando così la sensazione che essi siano
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svolti contemporaneamente.
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A poco a poco, negli ultimi anni, ci siamo un po' tutti convinti che il multitasking sia
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la risposta naturale al problema delle interruzioni, e abbiamo iniziato a svolgere più compiti
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in contemporanea, dedicando pochi minuti o addirittura pochi secondi a ciascuno di
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essi a rotazione, e così, mentre scriviamo un documento, riceviamo una mail e ci prendiamo
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5 minuti per rispondere, poi dedichiamo altri 3 minuti al documento finché non arriva un
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messaggio al quale servono 30 secondi per rispondere, poi altri 2 minuti al documento
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e così via. Peccato che il cervello umano, a differenza di un microprocessore, non sia progettato
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per funzionare in modalità multitasking.
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Su di noi, le interruzioni hanno un impatto negativo enorme rispetto ad un computer, perché
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in milioni di anni noi ci siamo evoluti per svolgere fondamentalmente un compito per volta.
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Benché sul momento ci possa sembrare di stare conseguendo chissà quali risultati, la realtà
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è che attuare il multitasking non solo non ci permette di rendere meglio di come faremmo
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se svolgessimo le stesse attività affrontandole una per volta, ma ci porta anche a subire
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tutta una serie di svantaggi. Innanzitutto, in multitasking non performiamo meglio, perché nel passare da un'attività
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all'altra entra in gioco un'operazione che, sempre mutuata dall'informatica, prende il
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nome di Context Switch e consiste nell'azione di abbandonare tutti i pensieri e ragionamenti
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che attualmente si stanno elaborando per prendere in considerazione quelli necessari per un'altra
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attività. Quando infatti ci dedichiamo ad un qualche compito, soprattutto se non è qualcosa di
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già fatto centinaia di volte e per cui abbiamo sviluppato un automatismo, dobbiamo tenere
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in considerazione tutta una serie di informazioni, obiettivi, prossimi passi, idee, elucubrazioni
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ecc. E ogni volta che passiamo da un compito all'altro, tutte queste informazioni vanno rimpiazzate
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con altre inerenti il nuovo compito al quale vogliamo dedicare attenzione.
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Dobbiamo anche noi, proprio come un microprocessore, attuare l'operazione di Context Switching.
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Ora, vari studi, te ne lascio qualcuno in descrizione, indicano che per effettuare efficacemente
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questo spostamento di informazioni occorrono in media dai 10 ai 15 minuti, a seconda della
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complessità di ciò che si sta facendo.
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Per questo motivo, aumentando le operazioni di Context Switching, finiamo con lo sprecare
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tempo e risorse mentali che potrebbero invece essere risparmiate e riempiegate meglio, se
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mantenessimo la concentrazione fissa su un'attività finché non la completiamo.
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In secondo luogo poi, il multitasking potrebbe perfino avere effetti negativi sulla nostra
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salute mentale se ne facciamo un uso eccessivo.
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Anche su questo argomento ti lascio alcuni link in descrizione.
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Ad esempio, è stato appurato come in alcuni soggetti il multitasking massiccio porti ad
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un calo della capacità di concentrazione e di attenzione, oppure ad una forte riduzione
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della memoria e della capacità di tenere a mente le cose da fare.
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Infine, l'uso del multitasking può essere anche causa di produzione in eccesso di cortisolo,
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che in genera stress, può aumentare l'ansia e può perfino incrementare il rischio di
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depressione. E questo spiega anche perché spesso, se lavoriamo sempre in multitasking, potremmo provare quel
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perenne senso di insoddisfazione.
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A onor del vero però, prima di passare al prossimo blocco, ci tengo a fare un paio di
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precisazioni su questo discorso.
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La prima è che io sto parlando di multitasking cognitivo, non di multitasking combinato cognitivo
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e motorio. In parole semplici mi riferisco al fatto di svolgere più attività contemporaneamente
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che richiedano tutte una certa dose di concentrazione mentale, non al fare attività fisica mentre
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si ragiona su qualcosa. Un'attività fisica e contemporaneamente di riflessione è in realtà qualcosa di sano
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e assolutamente consigliato. Ti lascio in descrizione il link al libro L'arte di correre di Haruki Murakami che racconta
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un bel esempio di multitasking combinato efficace, molto zen.
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E la seconda precisazione invece riguarda il fatto che durante le mie ricerche ho trovato
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alcuni studi che indicano nei più giovani effetti positivi del multitasking sul rendimento
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scolastico. Solo che non mi è chiaro come è stato valutato il concetto di positivo, perché da quello
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che ho capito i soggetti che praticano multitasking massiccio, in campo multimediale quindi ad
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esempio giocando ai videogame e guardando video, ottengono risultati scolastici migliori
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in presenza di elementi distrattori rispetto a quando tali distrattori sono assenti.
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E quello che non ho capito è in che senso aver bisogno di distrattori per rendere meglio
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si può considerare positivo.
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Se tu che ascolti ne capisci più di me, ci terrei a sentire la tua opinione, trovi anche
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questo articolo in descrizione. A contribuire all'inefficienza causata da un'attività di context switching continuo
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ci si mette poi anche un'altra caratteristica intrinseca del nostro cervello che riguarda
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la naturale difficoltà di ignorare le faccende in sospeso.
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Si tratta di quello stesso fenomeno per il quale ci risulta fastidioso interrompere le
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nostre attività senza essere giunti alla conclusione e per cui poi fatichiamo a togliercele
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dalla mente. Quante volte ci capita di lasciare qualcosa in sospeso e nei primi minuti provare quella
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punta di ansia e poi ritrovarci a ripensare continuamente a quel qualcosa mentre stiamo
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facendo altro nel corso delle ore o addirittura dei giorni successivi.
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Non importa quale sia l'attività non completata, potrebbe trattarsi di una serie tv o di un
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libro, di un lavoretto in casa, di un documento, persino di un oggetto lasciato fuori posto
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o di una macchia da pulire. Vale persino in caso di fenomeni molto più complicati come i rapporti interpersonali.
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Avere una questione in sospeso con qualcuno e non aver potuto chiarire determinati aspetti
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per qualsiasi motivo genera quel senso di ansia e fastidio, magari solo con intensità
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diversa. Beh, questo fenomeno, qualsiasi sia la forma in cui si manifesta, prende il nome di effetto
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Ziganik dal nome della studiosa che lo osservò per prima nel 1920.
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La leggenda narra che la psicologa russa Bulma Ziganik ebbe l'intuizione mentre si trovava
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a cena al ristorante. Mentre attendeva le proprie portate, la Ziganik assistette alle solite scene da locale di
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ristorazione. Camerieri che vanno avanti e indietro, prendono le ordinazioni, portano i piatti, ricevono
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continue richieste eccetera. La studiosa però rimase impressionata da come i camerieri, pur correndo su e giù fra
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i tavoli, riuscissero a tenere a mente ordini anche molto complicati senza prenderne nota
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e senza sbagliare un colpo. Al tempo stesso poi, ella notò pure che, dopo che i clienti pagavano il conto, tutta
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questa abilità mnemonica svaniva quasi istantaneamente e degli ordini effettuati qualche ora o addirittura
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qualche minuto prima non restava alcuna traccia.
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Da questa osservazione nacque lo studio Unfinished and Unfinished Tasks, a firma appunto della
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Ziganik. Studio grazie al quale la dottoressa dimostrò l'esistenza di quello che, proprio a partire
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dal suo nome, fu definito effetto Ziganik.
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L'idea di base utilizzata per portare avanti la ricerca è ben illustrata in un passaggio
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del documento stesso che recita.
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Qual è la relazione tra lo stato della memoria di un'attività che è stata interrotta prima
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che potesse essere completata e di una che non è stata interrotta?
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Sospettiamo che una quasi necessità non soddisfatta presumibilmente influisca anche sulla conservazione
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puramente memoriale. Ti lascio in descrizione il link al documento per approfondire, ma il succo della ricerca
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è che ad una serie di soggetti furono assegnate delle attività da svolgere e di queste la
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metà furono poi interrotte senza possibilità di essere completate.
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I risultati fecero emergere che i soggetti coinvolti ricordavano con maggiore precisione
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i dettagli dei compiti interrotti rispetto a quelli completati.
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Secondo gli esperimenti dei ricercatori, infatti, sospendendo un compito prima della fine, le
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informazioni che i partecipanti erano in grado di riportare aumentavano di una quantità
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tra il 90 e il 110%.
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In pratica, quindi, l'effetto Ziganic si riferisce alla tendenza del nostro cervello
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a ricordare i dettagli delle attività sospese o interrotte e a dimenticare invece quelli
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riguardanti le attività completate, liberando così la mente da informazioni non più immediatamente
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necessarie. Questa caratteristica del cervello, da un lato, può risultare davvero utile in quanto
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è un'ottima cosa avere ben chiara in mente tutte le informazioni riguardanti ciò che
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dobbiamo fare ed è anche positivo sentire l'impulso di voler finire ciò che abbiamo
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iniziato. Tuttavia, per contro, può anche trasformarsi in un ostacolo per la nostra produttività
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e per la nostra serenità. In primo luogo, infatti, a causa dell'effetto Ziganic, ogni compito non completato rimane
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ad occupare un po' della nostra attenzione, frammentandola e rendendo così più complicato
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per noi concentrarci sul lavoro attualmente in corso.
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Ad esempio, un altro studio che trovi sempre in descrizione ha rivelato che le persone
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interrotte durante un'attività ottengono risultati peggiori nell'attività successiva
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rispetto a coloro ai quali è permesso di completare il primo compito prima di passare
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al secondo. Oltre a ciò, un'altra conseguenza negativa dell'effetto Ziganic è che, anche se stacchiamo
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fisicamente dal lavoro, spesso le nostre attività incompiute ci seguono a casa, a cena, in vacanza,
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nei fini settimane e perfino durante il sonno.
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L'effetto Ziganic, infatti, fa in modo che il pensiero torni continuamente a ciò che
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abbiamo lasciato in sospeso e, nei momenti di riposo, il cervello è più vulnerabile
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a questa sorta di invasione. Il risultato è una continua ansia che, per tanti di noi, si manifesta, ad esempio, con
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quella sgradevole sensazione di trascorrere la domenica a pensare a ciò che dovremo fare
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il lunedì successivo. Purtroppo viviamo in un mondo complesso.
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Sia nel lavoro che nella vita privata non possiamo smettere di svolgere determinate attività
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in un certo lasso di tempo, banalmente dobbiamo tutti lavorare, no?
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Però possiamo adoperarci per contrastare almeno le abitudini malsane e non indispensabili
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come, guarda un po', le interruzioni e il multitasking.
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Un primo passo, ad esempio, potrebbe essere quello di fare un utilizzo più consapevole
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della tecnologia e, in questo senso, potremmo cominciare con il configurare al meglio i
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nostri sistemi di notifica. Conosco tante persone che ricevono tantissime notifiche ogni giorno.
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Il loro approccio, solitamente, è quello di dare una rapida occhiata allo smartphone
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o allo smartwatch e valutare, al volo, magari dal mittente, se si tratta di qualcosa di
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più urgente o che possono ignorare.
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Forse fai anche tu così, non lo so, io lo facevo accertamente fino a qualche anno fa.
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Beh, sorpresa sorpresa, sappi che quella breve interruzione per valutare la notifica è anch'essa
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un context switch. Magari uno molto veloce, sempre che non si decida di rispondere o di leggere il messaggio
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per intero, ma sempre di context switch si tratta e, come tale, distrae e consuma risorse
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mentali, portando maggiore stress e meno efficienza.
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Il fatto che spesso dimentichiamo, però, è che i sistemi di notifica sono ampiamente
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configurabili e ci permettono di impostare filtri anche molto granulari, ad esempio in
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base al mittente o all'applicazione o al fatto che si tratti di conversazioni di gruppo o
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singole e così via. Quello che voglio dire è che, invece di sprecare quei 5 secondi per ciascuna notifica che nell'arco
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della giornata possono diventare minuti, e invece di subire decine o a volte centinaia
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di interruzioni, abbiamo semplicemente la possibilità di farci fare una scrematura
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automatica a monte. Io lo faccio da ormai qualche anno e ti assicuro che i benefici sono enormi.
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Smartphone e computer, o addirittura singole app e siti, permettono già di fare una buona
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cernita. Si tratta soltanto di riflettere un attimo su quali fonti ci portano informazioni urgenti
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e quali no, e di dedicare un po' di tempo a configurare i vari sistemi in modo che
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ci interrompano solo se necessario.
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Poi sarà nostra cura controllare magari una o due volte al giorno o anche di più tutti
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gli aggiornamenti meno urgenti che non ci sono stati segnalati direttamente e sono rimasti
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lì ad aspettarci. So che potrebbe sembrare un comportamento strano a chi è abituato a verificare e a
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rispondere a tutto subito, ma non tutto è urgente e si tratta di una scelta importante
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per la nostra serenità. In pratica si tratta di frapporre un filtro che ci schermi dalla maggior parte del rumore
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di fondo nel momento in cui siamo impegnati in qualcosa.
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Provaci e vedrai che questa semplice contromisura ti aiuterà tanto ad alleviare lo stress e
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ad aumentare la concentrazione.
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Magari non riuscirai a tirare su un sistema perfetto, ma almeno migliorerai la tua situazione
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e godrai dei benefici. Una volta indirizzato il problema digitale, però, resta comunque poi quello analogico.
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Le distrazioni non sono solo notifiche, ma anche effetto di azioni di chi ci è accanto.
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Il collega, il cliente, l'amico, eccetera, sono tutte persone che ci orbitano intorno
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e, volenti o nolenti, possono interromperci in quello che stiamo facendo.
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Se una persona ci si avvicina per dirci o chiederci qualcosa mentre stiamo lavorando
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o studiando, non possiamo certo applicargli un filtro automatico o ignorarla finché non
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siamo pronti a risponderle. Ma possiamo fare una cosa simile che, anche se inizialmente può sembrarci assurda, piano
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piano può diventare una sana normalità.
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Possiamo chiederle se la sua necessità è urgente.
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So che per tantissimi è una cosa folle, ma utilizzare frasi del tipo «Scusami, è una
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cosa urgente o ne possiamo parlare tra mezz'ora?» è in realtà perfettamente lecito, non è
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offensivo e, come ho poi scoperto con il tempo, è anche piuttosto apprezzato da molti.
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Non si tratta di un atteggiamento scostante e non si tratta di ignorare le necessità
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altrui. Si tratta semplicemente di chiedere educatamente tempo per completare ciò che si sta facendo
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prima di dedicarsi, potenzialmente con molta più attenzione, al problema dell'altra persona.
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Iniziare a comportarsi in questo modo porta tutta una serie di vantaggi per entrambi i
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soggetti coinvolti. Tu prova e fammi sapere.
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In primis, tu avrai la possibilità di evitare un context switch e di completare ciò che
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stai facendo senza aggiungere stress o ansia inutili.
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Potrai valutare bene quanto tempo dedicare ancora all'attività in corso e scegliere
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quando interromperla, sempre che non ti riesca tranquillamente di finirla in un tempo ragionevole.
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E poi darai all'altra persona la sensazione che, a breve, le dedicherai la tua completa
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attenzione e una porzione ben definita del tuo tempo, e non solo quei tre minuti al volo
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con la testa che torna continuamente all'attività che hai interrotto.
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Tornando ora all'effetto Zeigarnik, e partendo dal presupposto che avremo sempre delle cose
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da fare, ci tocca scogitare un modo per trovare un sollievo nel caso in cui siamo proprio
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costretti a interrompere un compito, e anche per poter staccare mentalmente quando non
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siamo più al lavoro. In effetti ci sono varie contromisure che possiamo mettere in campo per evitare o almeno
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mitigare le conseguenze negative di questa particolare propensione del nostro cervello.
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E già lo studio originale evidenziava che avere un buon sistema di organizzazione del
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tempo e delle attività aiuta molto nel dare sollievo dallo stress causato dall'effetto
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Zeigarnik. Il trucco è mettere su un sistema per annotare le attività e i relativi dettagli che sia
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rapido e semplice da usare, in modo da richiedere poche energie cognitive e permettere al contempo
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un context switch quanto più efficace possibile.
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Il cervello infatti, sapendo di poter recuperare facilmente al momento giusto tutte le informazioni
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di cui avrà bisogno, non percepirà più il rischio di perderle e ciò placherà quell'impulso
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di doverle tenere continuamente a mente.
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Quello delle annotazioni, poi, è anche un buon modo per non farci occupare la testa
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fuori dall'orario di lavoro.
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Basterà infatti appuntare subito il messaggio del collega o la chiamata del capo o l'idea
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che ci è venuta in mente per risolvere il tal problema e potremo rimandare il tutto
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al primo giorno lavorativo utile.
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Una volta implementato un efficiente sistema di organizzazione del tempo, poi il passo
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successivo è quello di rivedere e riorganizzare la lista delle attività regolarmente, magari
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una volta al giorno per le cose più urgenti e una settimana per la pianificazione più
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generale. Avere infatti una visione d'insieme su ciò che abbiamo fatto e su ciò che abbiamo da
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fare durante il giorno e magari anche nei giorni a seguire, aiuta a placare l'ansia
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dovuta all'incertezza e a smorzare quella sensazione di sospeso.
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Inoltre, una buona pianificazione distribuisce meglio il carico di lavoro che non fa mai
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male e funge da riassunto delle attività svolte nel corso degli ultimi giorni o settimane,
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evitando quel senso di delusione che ci prende quando domande come ma che ho fatto oggi o
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in cosa ho speso la mia giornata o la scorsa settimana restano senza una risposta.
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Nel corso degli ultimi anni io ho sviluppato una strategia di pianificazione del tutto
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personale e cucita sulle mie esigenze.
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Tu però potresti iniziare col provare una strategia classica come la GTD o l'utilizzo
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di un software come Todoist, per il quale ti lascio in descrizione una guida e il link
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affiliato alla registrazione. Per concludere il discorso è anche molto d'aiuto stabilire alcuni rituali giornalieri
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che spezzino la concentrazione e permettano di fare un passo indietro e osservare come
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stanno andando le cose da un punto di vista un po' più ampio.
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Uno o due momenti della giornata, magari mentre facciamo pausa per bere un tè, un caffè
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o banalmente guardare un panorama dalla finestra, nei quali lasciamo vagare la mente, possono
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aiutarci a calmare lo stress e ripulire il cervello da faccende in sospeso, a patto sempre
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di averle appuntate in modo da non dimenticarci poi di svolgerle.
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Questi sono anche momenti buoni per ripensare a ciò che abbiamo fatto nelle ore precedenti,
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una cosa che nella vita attuale così frenetica spesso dimentichiamo di fare è godere delle
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piccole vittorie ottenute, prima di indirizzare l'attenzione alle cose ancora da fare.
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Più di tutto, poi, è importante avere un rituale di chiusura della giornata lavorativa,
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come sistemare e pulire la scrivania o chiudere tutti i programmi aperti e, tanto per cambiare,
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annotare le attività non terminate.
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Queste azioni, infatti, aiuteranno a separare il momento del lavoro da quello personale
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e ad evitare di trascinarsi per tutta la serata pensieri e preoccupazioni lavorative.
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So che se non l'hai mai provato ti potrà sembrare tutto molto teorico e tutto molto
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zen, ma ti assicuro che, almeno nel mio caso, tutto ciò che ti ho descritto è stato un
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ottimo modo per migliorare la mia vita.
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In ultimo, dal momento che, da come abbiamo visto, il nostro cervello trova fastidiose
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le situazioni ambigue e insospeso, noi possiamo anche farci furbi e provare a sfruttare l'effetto
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Zeigarnik a nostro vantaggio. In tal senso, quello che in realtà dobbiamo fare per capovolgere gli effetti negativi
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dovuti alle interruzioni involontarie è semplicemente creare appositamente delle situazioni di sospeso
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volontarie. L'idea è quella di stigare la mente a inseguire un determinato obiettivo distogliendola di
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tanto in tanto da esso, facendo così in modo che, a causa appunto dell'effetto Zeigarnik,
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al ritorno essa sia ancora più smaniosa di continuare il proprio lavoro.
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Si tratta esattamente del principio su cui si basano, ad esempio, le tecniche di compartimentazione
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del tempo, cioè quelle tecniche che consistono nell'inserire interruzioni artificiali nel
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flusso di lavoro. Sarà capitato anche a te di impegnarti in un'attività di concentrazione, di procedere
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in modo spedito e poi ad un tratto di perdere interesse, sentire la fatica, interrompere
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e non riuscire più a riprendere. Un momento prima sei lì che procedi a tutta forza e un momento dopo sopraggiunge stanchezza
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e distrazione. La fase iniziale di questo processo, quella produttiva, è chiamata di concentrazione
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profonda, in inglese state of flow, ed è quella nella quale solitamente tutti noi otteniamo
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i risultati migliori. Tuttavia, essa si esaurisce dopo un certo periodo di tempo che può durare più o meno
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a seconda della persona e difficilmente si presenta più di un paio di volte al giorno.
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Con le tecniche di compartimentazione del tempo si sfrutta l'effetto Zeigarnik per aumentare
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artificialmente la durata di questo periodo di concentrazione, inserendo proprio delle
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pause forzate, spesso dettate da un timer, perché durante lo state of flow non si ha
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una buona percezione del tempo che passa.
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In questo modo, il cervello, interrotto mentre sta svolgendo un'attività, resta vigile
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e concentrato sull'obiettivo per tutta la durata della pausa, che solitamente ammonta
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3 o 4 minuti, e quando ritorna sul problema è ancora più smanioso di portare a termine
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il suo compito. Un esempio piuttosto conosciuto di questa strategia è la cosiddetta tecnica del pomodoro,
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di cui abbiamo già parlato qui su Pensieri in Codice un bel po' di puntate fa.
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Ti lascio anche questo link in descrizione nel caso in cui tu voglia recuperare l'episodio
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ed avere un punto di partenza per provare la tecnica.
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Come già ti dissi all'epoca, io la trovo veramente utile per svolgere determinate attività
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come lo sviluppo del codice e lo studio, ma a seconda dei casi puoi impiegarla per
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tanti scopi diversi, devi solo trovare quelli più adatti alle tue necessità.
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Infine, dato che la concentrazione profonda non si presenta spesso durante la giornata
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e anzi in certi momenti facciamo molta fatica anche solo a decidere di iniziare un'attività,
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possiamo sfruttare l'effetto Zeigarnik anche per forzarci ad entrare nello state of flow.
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Ad esempio, quando ci sentiamo scoraggiati e non vogliamo iniziare un lavoro perché
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tanto sappiamo che non lo finiremo in tempo o siamo troppo stanchi per farlo ora o qualsiasi
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altra scusa, potremmo ricorrere alla tecnica dei 5 secondi per attivare la concentrazione
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profonda. La cosa funziona più o meno in questo modo, anche se non hai voglia, prova a costringerti
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ad adoperarti al tuo compito per almeno 5 secondi.
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Se si tratta di scrivere un documento, ad esempio, aprilo e leggi l'ultimo paragrafo
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che hai scritto la volta precedente.
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Se si tratta di codice, riporta a video la funzione che manca o le ultime righe lasciate
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in sospeso. Se invece parliamo di un lavoro più manuale, inizia a disporre gli strumenti.
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Perfino se il compito è semplicemente passare l'aspirapolvere, inserisci la spina e avvia
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il motore. E ora?
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Se proprio non vuoi proseguire, rimetti tutto a posto o chiudi il file e rinuncia, nessun
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problema. In verità, però, il più delle volte vedrai come l'effetto Zeigarnik farà in modo che il
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tuo cervello non voglia più interrompere ciò che hai iniziato e ti darà la spinta
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necessaria per svolgere la tua attività, almeno per un altro po' di tempo.
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E anche oggi l'episodio termina qui.
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Se l'argomento è stato di tuo interesse, non dimenticare di condividerlo sui tuoi social
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o meglio ancora ai tuoi colleghi ed amici.
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Se invece ti ha fatto schifo, condividilo con i tuoi nemici.
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Io, intanto, ti ringrazio per aver ascoltato e ringrazio anche i sostenitori abituali,
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Edoardo e Carlo, per la loro donazione mensile.
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E oggi un ringraziamento speciale va anche a Francesco Zubani, il quale ha fatto un lavorone
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realizzando le locandine e le trascrizioni per tutti gli episodi di Pensieri in Codice,
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utilizzando vari modelli di Machine Learning, Stable Diffusion, Mistral e Whisper.
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Considerando che parliamo di quasi 130 episodi, il ringraziamento è veramente tanto tanto
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sentito. E tu che mi ascolti, mi raccomando, scorri il feed o visita il sito pensierincodice.it
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per guardare tutte le nuove locandine e facci sapere cosa ne pensi.
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Ti ricordo che sul sito trovi anche tutte le informazioni su come supportare il podcast,
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come ricevere i gadget, come abbonarti al nuovo feed gratuito senza pubblicità, come
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scrivermi, come unirti al gruppo Telegram, eccetera, insomma un sacco di cose interessanti.
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Detto questo, non mi resta che salutarti, darti appuntamento al prossimo episodio, ma
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senza mai dimenticare che un informatico risolve problemi, a volte anche usando il computer.
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